Philip Schultz

lo scrittore dislessico che ha vinto il Pulitzer non sapeva leggere né scrivere. Perciò gli insegnanti gli dicevano di guardare solo le figure. È stato allora che ha iniziato a lavorare con la fantasia. Finché, per le sue poesie, ha conquistato il prestigioso premio letterario americano. Come racconta in un libro appena uscito

Philip Schultz, 72 anni, autore di La mia dislessia (Donzelli) è uno scrittore davvero speciale. Non solo per via del fatto che non succede poi così spesso di ricevere il Pulitzer, il più prestigioso riconoscimento letterario Usa, avendo sofferto per tutta la vita di un tale disturbo.

Un’infanzia complicata.

Da bambino Schultz non sapeva leggere né scrivere. Perciò era vittima di bullismo da parte dei suoi compagni. «Sono cresciuto sulla strada, in un quartiere pieno d’immigrati, tedeschi, irlandesi, italiani, ebrei. Era una lotta continua. Ciascuno voleva affermare la sua identità. Io venivo da una famiglia povera, mio padre non aveva un carattere facile. E a scuola andavo male: non riuscivo a pronunciare correttamente le parole, non ero capace di leggere l’ora. Ero lo zimbello dei miei compagni. Ma all’epoca nessuno mi aveva diagnosticato la dislessia. Finì che picchiai uno dei bulli che quotidianamente mi umiliavano e venni espulso per poi ritrovarmi nella classe dei cretini, quella in cui gli insegnanti non si davano la pena di insegnare nulla: dicevano di guardare le figure e di far finta di leggere».

I problemi di autostima.

È stato così che Schultz ha iniziato a lavorare con l’immaginazione, la fantasia. «Quando un bambino si sente inadeguato, prova vergogna. Non ne parla ai genitori, non si confida con nessuno. I compagni lo prendono di mira, perché nel momento in cui individuano la sua debolezza lui diventa la vittima ideale dei loro scherzi. Sono cose che ti segnano per tutta la vita: se nessuno ti aiuta, avrai problemi di autostima per il resto della tua esistenza».

La diagnosi a 50 anni.

Schultz ha scoperto di essere dislessico soltanto dopo i 50 anni. La diagnosi è arrivata quando lo stesso disturbo è stato riscontrato a suo figlio. «Nel frattempo ero riuscito a utilizzare in modo creativo il mio cervello nonostante il disturbo. Avevo 11 anni quando uno dei miei insegnanti mi chiese che cosa diavolo volessi fare da grande, e io d’istinto gli risposi: lo scrittore. Quel sogno mi ha accompagnato. E un giorno mi sono detto: se ho imparato a leggere da solo, imparerò anche a scrivere da solo».

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